lunedì, Marzo 27, 2023
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Coronavirus: Zaia: Se non Rispettiamo le regole in aprile rischiamo due milioni di contagiati


Coronavirus: Zaia: Se non Rispettiamo le regole in aprile rischiamo due milioni di contagiati





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La situazione del coronavirus in Italia e’ davvero preoccupante. “Faccio un richiamo alla responsabilità. Se non rispettiamo tutti le regole rischiamo di avere 2 milioni di contagi da qui al 15 aprile in Veneto”. Così il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia nel corso del consueto punto stampa in Protezione Civile.





Zaia: chiederò a veneti rigore su nuove misure





“Chiederò ai veneti che applichino con il massimo rigore queste nuove restrizioni. Sono cosciente che e’ un ulteriore sacrificio che chiediamo alla nostra comunità, ma non ci sono alternative”. Lo afferma il governatore Luca Zaia, commentando le nuove misure restrittive per tutta Italia comunicate dal premier Conte. 





Nel frattempo Conte afferma che dovranno essere Chiusi tutti i negozi tranne alimentari e farmacie





La situazione





Sono duemila i malati in un giorno e il governo si avvia a varare una nuova stretta, con la Lombardia che continua a chiedere un serrata. Duemila malati in più in un solo giorno, ma inclusi i 600 che la Lombardia non aveva comunicato martedì per un ritardo nei risultati dei test. La curva di crescita del coronavirus non si arresta ancora e ora cominciano a chiudere anche i simboli del paese: si fermano gli stabilimenti della Fca a Melfi, Cassino e Pomigliano; si ferma la moda, con le griffe di Milano che hanno anticipato le probabili nuove misure: quelle di un Dpcm, al quale sta lavorando l’esecutivo dopo le richieste del governatore della Lombardia Attilio Fontana, per «chiudere tutto», servizi essenziali esclusi. Un provvedimento, come sollecita parte della maggioranza di governo, da estendere a tutta Italia.





L’alta percentuale di vittime e di pazienti ricoverati fa pensare che il numero reale di contagi sia nettamente più alto di quello ufficiale





Il bollettino dal Ministero della Salute di martedì 10 marzo parla chiaro. Sono 10149 i casi totali di infezione da Sars2-CoV-2019, con 8514 persone positive, 631 deceduti e e 1004 ufficialmente guariti. In questo quadro nazionale, in ogni caso, colpiscono le cifre relative alla Lombardia, regione che fin dall’inizio ha rappresentato l’epicentro dell’epidemia. Su poco meno di 5800 casi totali (5791 al 10 marzo) i deceduti sono 468.





Mancano, è vero, alcune rilevazioni ma la percentuale appare ben più elevata rispetto alla media attesa, confrontando la situazione con quella della Cina dove si viaggia intorno al 3 per cento e della Corea, dove il tasso di letalità non arriva all’1 per cento.





Sia chiaro, non esiste ancora la possibilità di spiegare del tutto questa discrepanza, che probabilmente però deriva da una ragione: le persone che hanno contratto il virus, magari del tutto inconsapevolmente o con sintomi che non hanno richiesto l’assistenza medica, dovrebbero essere molte di più rispetto a quelle ufficialmente registrate.





CORONAVIRUS, HUBEI E ITALIA A CONFRONTO




Casi sottostimati, di molto
Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università di Milano e Direttore Sanitario dell’Irccs Galeazzi, ipotizza soprattutto questo meccanismo “matematico” per tentare di far luce sulla situazione. «L’età media della popolazione da sola non può spiegare la letalità, pur se sicuramente incide visto che proprio negli anziani, specie se con diverse patologie, tendono a concentrarsi i casi mortali – fa sapere Pregliasco.





Ma credo che all’origine delle percentuali di letalità ci sia soprattutto la fondamentale sottostima dei casi reali, che porta quindi ad avere un numeratore più basso rispetto alla realtà nella frazione tra decessi e numero di casi.





Una situazione del genere, pur trattandosi di una patologia ben più chiara e dai sintomi e segni meno sfumati, l’abbiamo vissuta anche con il cluster epidemico del morbillo: per avere un dato significativo, in quel caso, occorreva moltiplicare per cinque i numeri effettivamente rilevati».





Insomma: secondo l’esperto possono essere davvero tante le persone che hanno contratto l’infezione e, non soffrendo di problemi particolari, non hanno fatto riferimento a strutture in grado di seguirle e monitorarle.





Percentuale di ricoverati troppo alta
D’altro canto, a portare a sostenere questa ipotesi è anche la discrepanza che si rileva, non solo in Lombardia, tra soggetti riconosciuti come “attaccati” dal virus e ricoveri in ospedale e terapie intensive. Sempre stando ai dati relativi al 10 marzo, In Lombardia sarebbero solamente 642 le persone sotto osservazione a domicilio su 4427 positive (non si computano quindi i guariti e i deceduti) a fronte di 3319 soggetti ricoverati con sintomi e 466 in terapia intensiva.





Considerando che i dati disponibili parlano di una patologia che in quasi quattro casi su cinque non supera il livello di guardia di una comune influenza, siamo di fronte a percentuali di ricoverati che paiono cozzare con la logica. «Anche da queste cifre ufficiali traspare la possibile sottostima dei quadri, che ovviamente va ad incidere non solo sui casi gravi ma anche sulla mortalità – sottolinea Pregliasco, che comunque non sottovaluta altre ipotesi anche di tipo “geografico».





RICOVERI E TERAPIE INTENSIVE




In Corea casi circoscritti geograficamente
In Corea, ad esempio, l’epidemia è apparsa subito maggiormente circoscritta geograficamente e quindi anche i casi sfuggiti ai riscontri possono essere stati molto meno, considerando anche il gran numero di tamponi effettuati. Più difficile, invece, è tentare di spiegare la situazione con possibili “variazioni” del virus: si è infatti ipotizzato che in Lombardia stia circolando un ceppo maggiormente aggressivo, ma al momento non si può dare un giudizio corretto in questo senso.





Ceppi molto simili
«Per ora le informazioni relative ai ceppi isolati confermano una significativa “vicinanza” genetica tra il virus che ha circolato in Cina, quello tedesco e quello che sta causando i casi in Lombardia – conclude Pregliasco. Probabilmente quando avremo a disposizione un numero maggiore di sequenziamenti genetici virali da valutare potremmo capire meglio se ci sono state mutazioni in grado di rendere un ceppo più o meno aggressivo, ma per ora ogni valutazione è prematura».


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